Champagne e Architettura

TERRE DE VERTUS: LO CHAMPAGNE INCONTRA LA NATURA

Osservata attraverso le pareti vetrate di casa Farnsworth,

  la natura assume un significato più profondo

(Ludwig Mies Van Der Rohe)

 

Quante cose ha creato l’uomo…e ha fatto anche dei capolavori!

Tra le sue invenzioni più riuscite, quelle che di gran lunga preferisco, ci sono la camera fotografica ed il pianoforte, entrambe ‘macchine autonome’ capaci di produrre arte all’istante.

Di certo anche lo champagne è una sublime ‘icona del genio umano’, un’artificiosa combinazione di tecnica e tradizione capace nel tempo di creare un metodo unico ed esclusivo. Nel controverso rapporto tra vigneron e terroir ritrovo espressa una dialettica filosofica simile alle contraddizioni artistiche delle avanguardie del‘900: il rapporto tra la creatività a volte distruttiva dell’uomo e la definizione di stato di natura.

Con Casa Farnsworth del 1951, costruita a Plano (Illinois) negli Stati Uniti da Mies Van de Rohe, ciò che mi interessa sottolineare è l’atteggiamento intimo e confidenziale con il quale l’architetto tedesco, si rapporta con la natura qui rappresentata come una sorta di bosco urbano.

Questa residenza per un noto medico americano, diviene ben presto un’icona dell’architettura contemporanea perché sintetizza una perfetta interazione tra lo spazio e il suo ambiente circostante. Una struttura in ferro e vetro di massima precisione che simboleggia il manifesto estremo della ricerca di un nuovo spazio per la vita degli uomini, capace di concretizzare il sogno moderno di una casa non più rifugio da una natura dura e ostile ma un luogo dove abitare immergendosi totalmente con essa, superando al contempo l’illusione di una architettura ‘naturale’.

Come sempre l’opera costruita è un artificio dell’ingegno umano, tuttavia Mies, condividendo le idee del filosofo e teologo italo-tedesco Romano Guardini, per il quale la natura diventa interessante solo nel momento che subisce l’azione culturale dell’uomo (processo di trasformazione detto di ‘derealizzazione’), compie con quest’opera uno sforzo di riduzione del lessico grammaticale architettonico portandolo per approssimazione al suo grado zero. Casa Farnsworth rappresenta così la supremazia dell’omissione; l’architetto riesce ad esprimere senza ostentare, con un genio tutto in sottrazione e senza alcun mimetismo di matrice organica, un contatto immediato con la natura come mai nessuno aveva fatto in precedenza.

 

Anche la lunga storia dello champagne, ci racconta di un difficile rapporto tra tecnica e il contesto naturale in cui esso viene prodotto. Ad esempio, se i pensatori illuministi francesi amavano degustare champagne nei loro incontri intellettuali, soprattutto nella tipologia blanc de blancs, era dovuto ad una personale interpretazione del ‘vin de diable’ come principio del predominio razionale dell’uomo sulla natura.

Dalla seconda metà dell’Ottocento, l’ansia per un progresso scientifico (troppo) accelerato che avrebbe visto la sua apoteosi con l’esposizione Universale di Parigi del 1900, produce anche nella Champagne una spinta progressiva necessaria spesso a sopperire le difficoltà di un territorio difficile ed ostile. Nel secolo scorso, nonostante le due guerre, le conseguenze di questo progresso degenerano nello scempio di un’agricoltura negata, soprattutto negli anni 60/70, con l’ utilizzo scriteriato di prodotti di sintesi e di fitofarmaci per far fronte ad una domanda mondiale superiore all’offerta. E’ solo dagli anni ’90 che si sviluppa un sentire più naturale da parte di alcuni vigneron, con un approccio arrivato a ridurre al grado zero il controverso rapporto uomo-natura, bandendo di fatto l’intervento chimico. Grazie ad alcuni pionieri come Larmandier Bernier, capaci di rivendicare tra i primi un’ identità territoriale forte e precisa, si è diffusa nella Champagne una coscienza ecologica supportata anche dal progressivo rialzo termico medio delle temperature che ha attenuato in parte le difficoltà passate dovute a climi continentali molto rigidi.

Molti recoltant manipulant sono oggi disposti ad indagare la natura più profonda del loro territorio di elezione, con un savoirfaire che si esplica in una capacità ad ‘intervenire’ il meno possibile nel laborioso processo tra la prima e la seconda rifermentazione del vino in bottiglia.

Il maggior utilizzo di lieviti autoctoni rappresenta sempre più spesso la volontà di un’espressività sincera e naturale che si esprime attraverso un linguaggio più puro e diretto di questi champagne.

La caratterizzazione ‘bio’, può essere a volte interpretata come tentativo di competizione con le zone storicamente più vocate come ad esempio nella  recente nouvelle vague dell’Aube.

Nella Cote de Blancs invece la ‘scelta etica’ è la forza motrice della gestione aziendale attuale di Pierre Larmandier e della moglie Sophie, che li ha portati da oltre vent’anni a bandire i prodotti chimici e di sintesi, applicandoai loro vigneti le regole e i principi di un’agricoltura certificata bio (Qualitè France).

L’allevamento naturale delle viti è su di un suolo lavorato e inerbito, in modo che le radici raggiungano una buona profondità con rese molto contenute. Su alcune parcelle si sono adottati anche i dettami della biodinamica. Questo domaine viene considerato, grosso modo dal 1999, una icona della biodinamica, seppur di fatto non certificato, ed arriva a possedere un vigneto di circa 14 ettari di estensione, con un età media di 35-40 anni, sviluppato principalmente a Vertus, ma anche a Cramant, Chouilly, Avize e Oger.

 

La famiglia Larmandier vanta una presenza ultrasecolare nella Cote des Blancs, coltivando la vite a Cramant da più di 200 anni e vendendo sempre le uve fino a quando, ai primi del 900, ha iniziato a produrre in proprio gli champagne.Nel 1971 avviene il matrimonio tra Philippe Larmandier ed Elisabeth Bernier, erede diretta di una famiglia di viticoltori in quel di Vertus che porterà in dote alcuni importanti ettari di vigna. Insieme hanno preso le redini della maison, guidandola con sicurezza per passarla poi sul finire degli anni ottanta al figlio Pierre che all’epocaviveva a Parigi.

 

Lo chardonnay è il vitigno principe che copre ben l’85- 90% della superficie, il resto è pinot noir.

Anche in cantina, come detto, nessun lievito esogeno o selezionato, la vinificazione è del tipo parcellare, l’utilizzo dei legni di varia dimensione o dell’acciaio con tini termoregolati avviene a seconda delle  caratteristiche organolettiche del mosto, la fermentazione malolattica è svolta interamente e dopo l’affinamento sulle fecce fini, le basi spumanti non vengono filtrate.

Il dosaggio è molto basso, a piccole dosi, e avviene con mosto concentrato rettificato ad eccezione del Terre de Vertus che invece non è proprio dosato, e in genere è una cuvèe che si distingue sempre negli assaggi, al netto di un cambio stilistico che riguarda invece maggiormente altri prodotti di Larmandier-Bernier, distinti di recente da morbidezze e una certa immediatezza di beva rispetto al còtè algido e affilato delle versioni passate.


Articolo pubblicato su Enocode – Quaderno di appunti sul vino (www.enocode.com).